Una discesa nel Maelstrom

 

Un gruppo di pescatori norvegesi con la loro barca si imbatte in una improvvisa e violenta tempesta. La piccola imbarcazione viene sospinta dai flutti delle onde al centro di un immenso vortice perenne presente in quella zona, chiamato maelström. Per i pescatori è impossibile sfuggire a quel fenomeno naturale: una volta che si viene attirati verso il centro, infatti, si apre un abisso a forma di cono, che scaraventa la barca sul fondale con incredibile violenza.

I marinai vengono risucchiati dal vortice, ma uno di loro si salva aggrappandosi a un barile vuoto, fino a quando il vortice non si chiude. Sospinto dalle correnti, il pescatore riesce a giungere a riva. Dopo quell’esperienza, il protagonista è profondamente mutato dal punto di vista psicologico e fisico, tanto da subire un precoce e inevitabile invecchiamento.

Sinossi tratta da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Una_discesa_nel_Maelström.

Dall’incipit del libro:

Avevamo raggiunto il sommo della rupe più elevata. E per qualche momento il vecchio parve troppo esausto per parlare.
«Non è passato tanto tempo» disse alla fine «da quando io avrei potuto guidarvi su questa strada come il più giovane dei miei figlioli; ma circa tre anni or sono, mi capitò una avventura quale non è mai toccata a essere umano o almeno a essere che le sia sopravvissuto per raccontarla; e le sei ore di terrore mortale che ho passate allora, mi hanno rovinato anima e corpo. Voi mi credete vecchissimo, ma non lo sono. Ci volle meno di un giorno per farmi diventare bianchi i capelli, per fiaccarmi le membra e scuotermi i nervi così da tremare a ogni più piccolo sforzo, e da aver paura di un’ombra. Lo credereste che quasi non posso guardare giù da questa piccola rupe senza essere preso da vertigine?»
La “piccola rupe” sull’orlo della quale il vecchio si era negligentemente sdraiato per riposarsi (in modo che la parte più pesante del corpo sporgeva nel vuoto, e l’unica cosa che lo ratteneva dal cadere era il gomito puntato contro lo sdrucciolevole angolo estremo della roccia), quella “piccola rupe” di nero granito lucente si ergeva a picco di un millecinque o seicento piedi sopra il mondo caotico delle rocce sottostanti. Per quanto mi riguarda, nulla al mondo avrebbe potuto tentarmi ad avvicinarne l’orlo più in là della mezza dozzina di piedi che me ne separavano.
Mi sentivo così agitato dalla posizione pericolosa del mio compagno, che mi lasciai andare lungo disteso al suolo, afferrandomi ad alcuni cespugli vicini, senza nemmeno aver il coraggio di alzare gli occhi al cielo.