Il fu Mattia Pascal

 

Tra i romanzi più noti di Pirandello, pubblicato per la prima volta a puntate su “Nuova antologia”, nel 1904. Con questo romanzo Pirandello supera i confini regionali e sociologici del suo mondo per concentrarsi sempre più sul caso umano, sulla crisi segreta della coscienza, sul dramma dell’individuo atomizzato e isolato in un caos senza nome.

Mattia Pirandello fu Pascal

di Pietro Gibellini
Fonte: Pietro Gibellini, Mattia Pirandello fu Pascal, in “Critica letteraria”, n. 91- 92,1996, pp. 163 – 187 [= pc 36].

MATTIA PASCAL C’EST MOI

«Madame Bovary, c’est moi». Potrebbe riformularla per sé, la celebre frase flaubertiana, Luigi Pirandello, a proposito del Mattia Pascal? Me lo chiedo sfogliando il carteggio fra lo scrittore e l’editore Enrico Bemporad, ora recuperato dall’Archivio Storico Giunti, e in particolare la lettera del 1° marzo 1921: Pirandello sta discutendo della sistemazione editoriale delle Novelle per un anno, e mostra di attribuire importanza estrema alla copertina, una xilografia eseguita dal figlio Fausto, che gli pare «decorosissima, originale, e molto appropriata». E la commenta così: «La vita ingenua che rifugge spaventata dalla maschera del dolore. Ma tutto questo, senza dare nessuna importanza di rappresentazione al simbolo, altro che di semplice fregio decorativo». In cantiere non ci sono solo le Novelle: «Domani, intanto, Le spedirò il resto delle bozze del Fu Mattia Pascal, che hanno bisogno d’una revisione, e insieme l’Avvertenza su gli scrupoli della fantasia, che farà da appendice al volume. Avrà ricevuto a quest’ora, insieme col materiale del secondo volume delle Novelle per un anno, il primo fascio di bozze corrette del Fu Mattia Pascal e il ritratto che dovrà servire per prefazione. L’idea mi sembra originale, e servirà anche a dar un che di nuovo e d’attraente alla ristampa». Dunque, come la copertina aiuta a caratterizzare l’anima interna delle Novelle nella struttura Bemporad e a marcarne già dall’esterno la diversità dai precedenti volumi Treves, così la «ristampa» 1921 del romanzo affida al ritratto dell’autore il compito di accentuarne la novità, recata anche dalla revisione del testo e dall’aggiunta dell’appendice polemica, in risposta alle critiche subite dal vecchio romanzo e dalla recente messa in scena dei Sei personaggi. L’idea di uno stretto rapporto fra protagonista e autore, affidato all’autoritratto, doveva essere latente già all’origine, a giudicare dal fatto che il manoscritto su cui fu esemplata la princeps («Nuova Antologia», 16 aprile-16 giugno 1904), un autografo conservato ora ad Harvard ed esaminato dal Borsellino, fu donato da Pirandello all’amico Antonio Campanozzi, ancor prima che il romanzo uscisse in volume, insieme a una foto-ritratto dell’autore. L’edizione del 1921 (forma definitiva del romanzo apparso nel 1904 e ripubblicato con ritocchi nel 1910 e nel 1918) esibisce nel frontespizio gli elementi di novità: «seconda ristampa con un ritratto per prefazione e in fine un’avvertenza su gli scrupoli della fantasia», e reca puntualmente il volto dell’autore ancor giovane e chiomato: la foto scattata da una mano importante come quella di Luigi Capuana (risalente al tempo del matrimonio di Pirandello, proprio nell’età e nella condizione di Mattia Pascal) ritraeva lo scrittore in una posa studiata, da artista, a metà fra Rodin e le tante “malinconie allo specchio” studiate da Jean Starobinski. Quanto alla chiosa («con un ritratto per prefazione»), essa è tanto più significativa perché esibita nel frontespizio di un «romanzo» scritto in prima, primissima persona. Si aggiunga che il ritratto, collocato nel 1921 nell’antiporta, per la ristampa del 1925 venne fatto spostare dall’autore nel controfrontespizio, a diretto riscontro con l’indicazione che lo qualificava come prefazione; la pignoleria del bibliofilo Pirandello si univa alla preoccupazione comunicativa: al lettore doveva suggerirsi fin dal principio il coinvolgimento autobiografico...