Tre uomini in una barca

 

Il romanzo, uscito nel 1889, nacque originariamente come opera contenente notizie storico-letterarie, utili per una guida turistica, e avrebbe dovuto intitolarsi La storia del Tamigi. L’editore fece tagliare le divagazioni storico culturali, creando i presupposti per l’enorme successo del libro, snellito rispetto al racconto originale, ma pieno di gag umoristiche. L’opera vendette un milione e mezzo di copie nella sola Gran Bretagna.

Dall’incipit del libro:

Eravamo in quattro: Giorgio, Guglielmo Samuele Harris, io e Montmorency. Seduti nella mia stanza, si fumava e si parlava di come stessimo male… male, intendo, rispetto alla salute. Ci sentivamo tutti sfiaccati e ne eravamo impensieriti. Harris diceva che a volte si sentiva assalito da tali strani accessi di vertigine, che sapeva a pena che si facesse; e poi Giorgio disse che anche lui era assalito da accessi di vertigine e appena sapeva anche lui che si facesse. Io poi avevo il fegato ammalato. Sapevo di avere il fegato ammalato, perchè avevo appunto letto un annuncio di pillole brevettate nel quale si specificavano minutamente i vari sintomi dai quali il lettore poteva arguire d’avere il fegato malato. Io li avevo tutti. È strano, ma non mi avviene mai di leggere un annuncio di specialità brevettate, senza sentirmi tratto alla conclusione d’essere affetto dalla peculiare malattia – nella sua forma più virulenta – che forma il soggetto dell’annuncio. A ogni modo, la diagnosi par che corrisponda sempre esattamente a tutte le mie particolari sensazioni. Ricordo d’esser andato un giorno al British Museum a leggere il trattamento di un piccolo malanno del quale avevo qualche leggero attacco – credo che fosse la febbre del fieno. Mi feci dare il libro, e lessi tutto quello che dovevo leggere; e poi, in un momento d’oblio, voltai oziosamente le pagine e cominciai a studiare indolentemente le malattie in generale. Non ricordo più il primo morbo nel quale m’immersi – so che era un pauroso flagello devastatore – e prima che avessi dato un’occhiata a una metà della lista dei «sintomi premonitori», ero già bell’e convinto di esserne affetto.